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a cura di Marinella Paderni

 

Mostra aperta dal 20 ottobre al 17 dicembre 2023

Orari: sabato 11-13 e 15-17 e domenica 11-13 e 15-19

Presso lo spazio di Borgo delle Colonne 28, Parma

Ingresso gratuito

 

Inaugurazione: Venerdì 20 ottobre, dalle ore 20.30

Con la presenza dell’artista Paola De Pietri

Performance Audio-Video “Earth Begins” di Emilio Pozzolini

a cura di Le Cannibale – Milano

Bar di Santeria Milano

Con il Patrocinio dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Parma.

 

La fotografia di Paola De Pietri esplora da sempre le sottili differenze di tempo e di luogo che mostrano le azioni umane nel rapporto con la natura, quelle trasformazioni più o meno silenziose iscritte nel paesaggio italiano che in special modo rivelano lo spazio tra ciò che l’uomo è diventato e l’immagine della sua storia disegnata sul territorio. 

I suoi paesaggi non rientrano nella generale tassonomia del visivo a cui ci ha abituato la fotografia contemporanea, tesa a dare rilievo alla spettacolarità (l’immagine fotografica come evento) o alla concettualità scientifica (l’immagine fotografica come documento). 

La loro unicità è essere paesaggi con poesia.

 

Testo critico di Marinella Paderni

Un albero ritratto in uno degli inverni della sua vita appare solitario, effimero, immemore. Sembra disegnato nella nebbia rarefatta della campagna attorno al fiume Po, quando la terra sprigiona vapore, freddo e silenzio. La sua bellezza spoglia, congelata dalle basse temperature, resiste al clima ingeneroso e alla distanza che l’uomo contemporaneo ha posto tra sé e la natura, anche quella modificata a sua immagine. Accanto a quell’albero, e ad altri suoi simili, alcune fotografie in bianco e nero ritraggono case coloniche abbandonate e cascine in rovina circondate dalla solitudine degli spazi vuoti, delle terre arate, ormai cimelio di un passato contadino di cui la società non ha quasi più memoria e si cura poco.

La fotografia di Paola De Pietri esplora da sempre le sottili differenze di tempo e di luogo che mostrano le azioni umane nel rapporto con la natura, quelle trasformazioni più o meno silenziose iscritte nel paesaggio italiano che in special modo rivelano lo spazio tra ciò che l’uomo è diventato e l’immagine della sua storia disegnata sul territorio. 

Una distanza tra la pianura di oggi, spesso soggetta alla furia climatica, e il paesaggio pastorale di ieri, rappresentazione di una lunga età dell’uomo che lo sguardo dell’artista ha colto profondamente e condensato in fotografie liriche, atemporali, che suscitano un’emozione raccolta. Si sa, la Pianura padana non è la terra dei paesaggi spettacolari, la sua è una natura troppo disegnata dal lavoro dell’uomo da suscitare stupore. Ma proprio per questo ci appartiene di più, è così simile al carattere di noi abitanti delle terre a perdita d’occhio, dove la lontananza e il vuoto diventano spazi di racconto e magia.

L’uomo di oggi è uno spettatore vorace, naufrago di verità e di poesia; i suoi occhi sono tecnologici, leggono le immagini una dopo l’altra come lo schermo di uno scanner. La vita artificiale domina su quella palpabile delle stagioni, il consumo di bellezza fine a se stessa prevale sulla vita delle cose e i loro destini: il puro godimento estetico è un’attività che si può fare da soli e richiede poca partecipazione. L’insensibilità visiva è più comoda; chi consuma, divora le immagini secondo uno sguardo comune predefinito dai display, abituando l’occhio a inquadrare rapidamente e a scivolare sulle cose con leggerezza, soffermandosi giusto un istante e nulla di più. Invece, l’assaporare e il vivere i luoghi richiede presenza, desiderio, tempo, lentezza. E poesia, molta poesia, anche negli occhi di chi guarda.

Una vulnerabilità del vedere che riflette la disattenzione dell’uomo nella relazione con il mondo e la sua disabitudine a guardare davvero.

La pianura è lì in primo piano, a dispetto del nostro sguardo assente. Lo fa seguendo la propensione naturale al cambiamento, alla stagionalità, al selvatico, portando un suo scompiglio laddove c’era un disegno di controllo e di addomesticamento. Gli alberi e i casolari ritratti dall’artista paiono i resilienti solitari di una gens tutta speciale, che abita diversamente lo stesso mondo nonostante noi. Ma qualcuno li ha guardati negli anni, curati e amati; e ancora oggi lo fa. Molti li stanno dimenticando invece, consegnandoli all’invisibilità pubblica o alla sparizione.  

Paola De Pietri non li ha persi di vista. Li ha cercati, osservati, fotografati senza spettacolarità, con un movimento di avvicinamento attento, che ci restituisce poeticamente grazie all’uso di una luce sfumata, di un bianco e nero dai passaggi tonali delicati, della stampa su carta cotone che conferisce morbidezza all’asprezza del reale. 

Con il titolo Pastorale l’artista ha creato un dialogo sottile tra panorami malinconici e particolari naturali, tra le immagini in bianco e nero di rovine e alberi e alcune fotografie a colori con dettagli di vegetazione spontanea, coltivazioni e fauna, che esprimono invece la vitalità della natura. È un viaggio dello sguardo composto da lavori delle serie Da inverno a inverno e Questa pianura, che ci portano dentro una temporalità nuova e ci svelano come il presente sia l’insieme di due linee temporali che si intrecciano l’una con l’altra: il passato, che è scivolato nel presente trasformandolo (il bianco e nero), e l’istante presente che rifulge nel suo chiarore cromatico (il colore) e sembra non finire. In questo movimento polifonico l’artista ha inserito un ulteriore elemento lirico, delle fotografie a colori di un cielo scosso da un temporale notturno. Sono scatti della serie Temporale, che ci trasportano dentro un altro tipo di tempo, quello fenomenologico delle energie del cielo, delle nuvole e della loro materia soffice in evoluzione, dello spazio imprevedibile libero da interferenze umane e incontrollabile.

Posizionate nella ex chiesa in modo da suggerire una partitura visiva e spaziale, la mostra restituisce quella “fragilità del vedere” che per l’artista è un’allegoria delle relazioni umane, una pastorale italiana: il nostro sguardo segue il suo nell’attraversamento in un territorio sofferente ma generoso, di una natura fedele a se stessa che cambia identità senza mutare la sua inclinazione. Un eterno ritorno sempre diverso, attitudine del tempo come della materia.

La ricerca di Paola De Pietri possiede una qualità che solo pochi artisti hanno rappresentato così bene – colpiscono infatti le similitudini non casuali tra la ricerca dell’artista e i disegni fotogenici di William Henry Fox Talbot con il suo studio The Pencil of Nature. È la capacità della sua fotografia di essere ombra, non solo luce, di mostrare quello che normalmente non si vede perché aurorale, nascosto, indefinito. E anche se il bianco e nero può apparire più del colore un “disegno di luce” della realtà, Paola De Pietri riesce a superare l’impasse tramite l’emersione del lato ombra delle cose: infatti, mettendo in secondo piano l’eccesso di realismo e conciliando nell’immagine aspetti antagonisti della realtà, l’artista fa prevalere le proprietà poetiche dei luoghi sulla narrazione del reale, come la bellezza della rovina, la quiete della solitudine, il semplice nella complessità.

I suoi paesaggi non rientrano nella generale tassonomia del visivo a cui ci ha abituato la fotografia contemporanea, tesa a dare rilievo alla spettacolarità (l’immagine fotografica come evento) o alla concettualità scientifica (l’immagine fotografica come documento). 

La loro unicità è essere paesaggi con poesia.

 

Paola De Pietri

Paola De Pietri nasce nel 1960 a Reggio Emilia, dove vive. Si è laureata al DAMS Arte presso l’Università di Bologna e ha cominciato a dedicarsi alla fotografia agli inizi degli anni ’90.

È stata coinvolta in numerosi progetti di carattere pubblico sull’osservazione del territorio e sulla riflessione delle dinamiche sociali. Ha esposto il suo lavoro in Italia e all’estero in numerosi musei e gallerie private. Le sue immagini nascono da un’attenta osservazione del paesaggio urbano e naturale, spesso registrando aspetti fenomenici quasi impercettibili, in un continuo approfondimento dell’idea di transitorietà. Il passaggio del tempo come agente trasformatore è evidente anche nelle opere in cui le dinamiche spazio-temporali sono quelle del vissuto umano.

Nel 2009 ha vinto il premio triennale Albert Ranger-Patzsch Award, presso il Museum Folkwang di Essen, per la pubblicazione del suo libro To Face con l’editore Steidl Gottingen.

Tra gli altri libri pubblicati, si ricordano Paola De Pietri, Quaderni della Galleria d’Arte Moderna Bologna, Pendragon, 2001; Paola De Pietri:Dittici, Udine, Art&, 1998; To Face, Steidl, Gottingen, 2012; Seccoumidofuoco, Linea di Confine, 2016; Istanbul New Stories, Steidl, Gottingen, 2017; Improvvisamente, Quodlibet, Macerata; da inverno a inverno (from winter to winter), Marsilio, Venezia

BDC76: Paola De Pietri
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